Montemonaco è così chiamato perchè su questa altura avevano trovato rifugio i monaci benedettini, primi colonizzatori delle nostre zone montane, quando le terre incolte e le fitte foreste si mutarono in fertili campi con colture adatte all'asprezza del clima.
Verso la fine del secolo XIII i vari nuclei rurali autonomi disseminati ai piedi dei monti Sibillini per convenzione, si unirono e si costituirono in libero comune. Proclamarono come loro capoluogo Montemonaco, “monte del monaco”, l'altura al centro del territorio, facile da difendersi, primo nucleo radiante spiritualità e civiltà.
A difesa delle loro libertà i montemonachesi costruirono le massicce mura castellane, intervallate da robusti torrioni.
Il lago di Pilato è situato a quota 1940, nell'alta valle dell'Aso.
Secondo una leggenda fantasiosa e suggestiva nelle onde rosseggianti del nostro lago si tuffarono i bufali che da Roma trasportavano il corpo di Pilato, il governatore della Palestina che permise la crocifissione di Cristo.
Nel Medioevo e nella prima rinascenza i negromanti salivano quassù per consacrare il libro del Comando e per evocare gli spiriti maligni.
Oggi la sua caratteristica particolare è data dalla presenza di un crostaceo di specie probabilmente nuova, il “Chirocephalus Marchesonii”, rinvenuto nel 1954 dal professor Marchesoni, durante il corso delle ricerche idrobiologiche condotte dagli Istituti di botanica e zoologia dell'università di Camerino.
La Grotta della Sibilla è a quota 2175 sulla cima del monte omonimo. Ne parlano nel Medioevo e nel primo rinascimento poeti e letterati. Ampie testimonianze e minuziose descrizioni sono date da Andrea da Barberino e Antoine de La Sale.
La grotta benché chiusa desta interesse a numerosi studiosi ed escursionisti. Oggi Montemonaco, al centro del Parco Nazionale dei Sibillini, per le sue straordinarie bellezze naturali e paesaggistiche, per le numerose testimonianze storiche, per le efficienti e moderne attrezzature alberghiere, è un polo turistico di notevole rilevanza con possibilità di un maggiore sviluppo futuro.
Montemonaco (Castrum Montis Monaci)
Scarse testimonianze archeologiche non ci consentono di ipotizzare le forme di popolamento in età arcaica negli alti bacini del fiume Tenna e Aso. La zona però era abitata in età romana in quanto l’ agro centuriato arrivava fino ai Monti Sibillini. Non abbiamo però documenti per ricostruire le vicende di queste zone dalla caduta dell’ impero romano fino al X sec. Possiamo solo supporre che la distruzione di molti centri abitati ad opera dei barbari invasori, nonché le frequenti incursioni dei saraceni sulle coste, spinsero le popolazioni picene ad abbandonare i litorali e le vallate per spingersi verso le zone interne. Quando i longobardi, scesi in Italia nel 568- 569, incorporarono il Piceno nel Ducato di Spoleto alcuni di essi vennero a stabilirsi nelle alte vallate del Tenna e dell’ Aso. In seguito alla sconfitta dei Longobardi ad opera di Carlo Magno ( chiamato nel 773 dal papa Adriano I ) il Ducato di Spoleto cessò di esistere ed una potente aristocrazia laica ed ecclesiastica assunse il controllo economico e politico della regione orientale dei Sibillini. L’aristocrazia laica era formata da nobili longobardi e franchi che si stabilirono sul territorio piceno all’interno dei loro possedimenti terrieri ( curtes ) creando delle casate dinastiche. L’aristocrazia ecclesiastica era formata dal vescovo di Fermo insieme ai pievani e abati titolari di molte abbazie benedettine ( monasteria ). Attorno a queste autorità si muovevano vassalli, coloni e servi tenuti alla prestazione di servizi e beni. Importante per questo territorio fu l’ edificazione di abbazie e monasteri benedettini che ricostruirono il paesaggio agricolo e promossero molti insediamenti omogenei. Infatti attorno alle abbazie e monasteri, unità produttive autonome , vengono a formarsi i primi nuclei di abitazioni dei coloni ai quali venivano affidate le terre possedute dai religiosi per coltivarle. Secondo un documento dell’ Archivio arcivescovile di Fermo nel 997 i protagonisti politici locali sono: il Vescovo di Fermo, i Priori delle Pievi di S.Angelo in Montespino ( presso Montefortino ) e S.Donato ( presso Amandola ) ed alcune famiglie nobili. Le chiese presenti sul territorio di Montemonaco infatti erano controllate direttamente dalla Abbazia di S.Vittoria in Matenano ( sede vicaria per il Piceno dell’ Abbazia di Farfa ) o della Pieve di S. Angelo in Montespino.
Nel XII-XIII sec. anche nella zona dei Sibillini si sviluppò il fenomeno dell’ incastellamento cioè la crescita e la fortificazione dei nuclei abitativi. La posizione dominante su un’ altura facile da difendere, la facilità di approvvigionamento idrico, la vicinanza di boschi e prati furono i principali fattori che determinarono la scelta dell’ ubicazione di Montemonaco.
L’ incastellamento fu alimentato dall’allargamento delle famiglie che avevano beni nel territorio circostante e fu accompagnato da un forte incremento demografico che favorì fenomeni di concentrazione nel centro abitato principale delle popolazioni delle borgate e delle campagne. La tradizione vuole che il primitivo nucleo di Montemonaco sia sorto attorno ad un monastero di monaci benedettini posto sul punto più alto del colle attuale.
Negli Statuti Municipali si legge infatti “ Monacus illam fundavit “.
Montemonaco comunque è annoverato fra le città che fecero parte sin dall’ inizio del Presidiato Farfense e viene nominato in un catasto dei possedimenti della celebre abbazia redatto alla fine del 900’. Verso la fine del X sec. quindi Montemonaco molto probabilmente esisteva e costituiva un aggregato di case dove sotto la guida spirituale e morale dei monaci vivevano suoi abitanti. Al monaco rettore spettava il compito di mantenere la pace nella comunità risolvendo ogni questione privata tant'è che i suoi insegnamenti divennero norma di vita e furono codificati. Ad essi fa riferimento la prefazione dello Statuto Municipale stampato nel 1547 ad Amandola e nel 1628 a Macerata. Secondo un documento dell’ Archivio del Buon Governo di Roma, Montemonaco come cittadella fortificata fu fondata nel XII sec. dalla famiglia Nobili di Montepassillo; una delle famiglie più ricche e potenti della Marca Meridionale proprietaria del castello di Montepassillo che era posto nei pressi di Comunanza (1). Fin dal XII sec.le comunità marchigiane pagavano alla Camera Apostolica, cioè all’ ufficio curiale che sovrintendeva alle finanze pontificie, il “census” cioè una somma fissa annua dovuta sia come forma di sottomissione alla sovranità papale, che come corrispettivo di concessioni ricevute. Da una ricevuta di pagamento del 1164 notiamo che Montemonaco aveva già assunto il nome attuale e dalla potestà farfense era passato sotto l’ alta sovranità pontificia. E intorno alla metà del XIII sec. si costituì il libero comune di Montemonaco vincendo le resistenze dei feudatari proprietari dei sette castelli che secondo la tradizione esistevano a Montemonaco. La costituzione del libero comune significò l’ abolizione dei privilegi feudali nonché faticose conquiste sociali ed economiche. Il primo obiettivo del libero comune fu quello di garantire i diritti fondamentali per mezzo dello statuto comunale e l’ eguaglianza tributaria per mezzo del catasto. Il secondo impegno fu quello di estendere il proprio dominio sul contado costringendo le comunità rurali e i dinasti feudali delle campagne a sottomettersi alla sovranità comunale.
La conquista del contado fu perseguita da Montemonaco con sacrifici economici e militari.
Secondo un altro documento dell’ Archivio del Buon Governo di Roma, Montemonaco acquistò ventitré castelli nei dintorni per dilatare il suo territorio comunale. Il Vescovo di Fermo in genere non si oppose mai alle pretese del Comune il quale si dichiarava sempre fedele al Papa continuando a corrispondere il censo annuo alla Santa Sede.
I feudatari all’ inizio invece si opposero anche con le armi alla espansione del comune ma a lungo andare dovettero cedere alle istanze di libertà della popolazione montemonachese. Dallo Statuto Municipale di Montemonaco riformato nel 1545, riprendendo quelli più antichi, e stampato nel 1547 si deduce che il comune era retto a forme democratiche con la presenza di due consigli: il Consiglio delle Credenze che insieme ai Priori preparava gli ordinamenti da portarsi all’ approvazione del Consiglio Generale. Il Consiglio Generale, formato da cittadini eletti dai Quartieri, governava effettivamente esercitando il potere amministrativo per mezzo dei Priori e quello giudiziario per mezzo del Podestà. Il Podestà era scelto tra i dottori in legge forestieri. In una pergamena dell’ Archivio Diplomatico di Fermo del 1289 è fissato lo stipendio del podestà di Montemonaco, pari a quello del podestà di Montelparo. Almeno ogni anno doveva poi essere convocato il Parlamento Generale, al quale per la validità della decisione doveva intervenire la maggioranza dei padri di famiglia. Sempre dallo Statuto municipale risulta che il Comune era diviso in quattro quartieri: S.Biagio, S.Giorgio, S.Lorenzo, S.Maria. Ogni quartiere aveva un Capitano sotto i cui ordini si sottoponevano i cittadini armati in caso di bisogno. Nello Statuto Municipale si trovano inoltre libri che si occupano delle cause civili e delle cause penali, delle feste di precetto, della regolamentazione delle attività commerciali, della manutenzione del paese e delle opere civili e della chiese.
Le mura castellane che circondano interamente Montemonaco inglobando ampi spazi verdi sono intervallate da ampi e robusti torrioni ed interrotte solo da 3 porte: Porta S.Giorgio, Porta S.Biagio, Porta S.Lorenzo. Tali mura furono edificate a partire dal XIII sec. grazie al lavoro di numerosi maestri lombardi attivi nell’ area che secondo la tradizione raggiunsero queste zone dopo la distruzione di Milano da parte del Barbarossa nel 1162. Durante tutta l’ epoca del libero Comune vi furono continue lotte coi paesi confinanti: Arquata, Comunanza, Montefortino e Norcia. Da documenti storici risulterebbe un risarcimento di 300 fiorini alla comunità di Arquata per scorrerie e predazioni operate da alcuni montemonachesi. Nel 1341 e 1428 le comunità di Montemonaco e di Arquata, ancora in lotta, dovettero ricorrere alle vie legali. Anche con Montefortino ci furono continue guerre e liti di cui risultano tracce nell’ Archivio Comunale. Nel 1337 Montemonaco partecipò ad una incursione contro Montalto Marche saccheggiando gravemente quella terra insieme agli uomini di Montegallo, Arquata, Force, Montelparo, Rotella ma fu pronto a sottostare ai patti di pace conclusi grazie all’ intervento del Rettore della Marca, Corrado Sabelliano. Secondo la tradizione, in epoca molto remota, Norcia possedeva il castello di Rocca valico obbligato nel versante orientale dei Sibillini per l’ Umbria. E quando Montemonaco diventò libero Comune assoggettò subito il castello di Rocca per proteggere i propri confini. Molto probabilmente le relazioni tra i due Comuni si sono svolte in un continuo alternarsi di tregue e di discordie per tutto il XIV sec.; non a caso le fortificazioni di Montemonaco rivolte verso occidente sono molto possenti e alte. La diffidenza dei montemonachesi verso Norcia è testimoniata anche dalla usanza codificata negli Statuti Municipali della armata di tutto il popolo in occasione della festa di S.Bartolomeo. Ogni anno in quella data i Capitani dei quattro quartieri coi rispettivi armati ed il Gonfalone Comunale in testa dovevano recarsi a pregare nella Chiesa di S.Bartolomeo a Foce, procedere alla ricognizione dei confini con Norcia ed il giorno dopo presentarsi nel capoluogo per essere passati in rivista nella piazza comunale. A conclusione di una delle tante liti di frontiera il Consiglio Generale della Terra di Norcia il 17 Giugno del 1399 venne finalmente ad amichevoli trattati con Montemonaco stabilendo delle norme precise sulla “strada imperiale” di Pizzo Borghese che tanto interessava i due paesi.
Montemonaco fu più volte costretto a difendere con le armi le proprie scelte ideologiche contro le signorie oppure l’ integrità dei propri confini dalle pretese di Ascoli, Fermo e Visso. Nel 1405 aiutò Amandola e Montefortino contro l’ esercito dei Varano signori di Camerino. Anche se poi per ordine del Rettore della Marca questi ultimi dovettero sottomettersi alla signoria dei Varano, sembra comunque che fra le terre date a questi in vicaria non ci fosse Montemonaco. Così pure esso non figura fra le terre e le città sottoposte nel 1410 al dominio degli ambiziosi Malatesta di Rimini nominati vicari per la Santa Sede da Gregorio XII. Ciò prova quell’ antica autonomia che quassù si conservava sotto l’ alta protezione pontificia che si opponeva alla sottomissioni di tali libero comune da parte di nobili o altri in quanto dannoso per la Chiesa anche per motivi fiscali. A quanto risulta dai documenti dell’ Archivio Comunale sembra che Montemonaco non si sottomise nemmeno a Francesco Sforza il quale pose contro di esso un assedio economico molto lungo. Montemonaco continuò a rifiutarsi di versare le taglie imposte dagli Sforza anche quando questi fu nominato dal papa Eugenio IV vicario della Marca Anconetana. In quel periodo per ribadire la disapprovazione per la politica del papato sospese anche i pagamenti per la Santa Sede. Montemonaco incorse così nelle sanzioni contro i popoli ribelli ma i suoi abitanti restando arroccati dentro le sue fortificazioni respingevano ogni sentenza emanata dal giudice di Fermo. Per resistere all’ assedio economico e morale a cui erano sottoposti i montemonachesi si trovarono nel bisogno di compiere scorrerie contro Norcia, Arquata e Montefortino sempre nel timore di scontrarsi contro le armate degli Sforza. Quando nel 1442, al posto di Francesco Sforza, venne nominato Nicolò Piccinino come Gonfaloniere della Marca questi conquistò Camerino, Sarnano, Montefortino. I montemonachesi ancora arroccati in armi all’ interno delle fortificazioni vennero a patti col Piccinino senza subire saccheggi o invasioni.
Finita l’epoca delle signorie iniziò la fase più florida del libero comune. Nella seconda metà del 400’ a Montemonaco vennero rifatti torrioni, ponti e mulini e nuovo impulso ricevettero le attività tradizionali come l’agricoltura e l’allevamento del bestiame che alimentarono nuovi commerci e traffici. Dopo tale periodo di prosperità Montemonaco, a partire dalla metà del XVI sec., fu investito da una crisi politica e economica. Dal 1530 il papato incrementò di continuo il carico tributario sulle comunità dello Stato della Chiesa. Ciò consolidò l’autorità politica del pontificie all’interno del suo dominio temporale a scapito della autonomia dei liberi comuni ma a lungo andare provocò il ristagno delle attività economiche. Nel 1592 Clemente VIII istituì la Congregazione del Buon Governo col compito di controllare ed approvare i bilanci preventivi delle comunità dello Stato Pontificio; cosicché controllando la gestione finanziaria del Comune di fatto lo controllava anche politicamente.
Bibliografia:
1) Fondazione della Cassa di Risparmio di Ascoli Piceno,” Amandola e il suo territorio”,1995.
2) G. Calindri,” Saggio storico del Pontificio Stato”, Perugia, 1829.
3) I. Schuster,” L’ imperiale abbazia di Farfa”, Roma, 1921.
4) Statuto municipale di Montemonaco: “Volume Iurium Municipalis Hom. Ter. Montis Monaci”, Macerata, 1628.
5) A. Vittori, Montemonaco nel regno della Sibilla Appenninica, Firenze 1938.
6) F. Pistolesi,” Sisto V e Montalto”, Montalto Marche ,1921.
7) Archivio storico comunale: pergamena n° 33.
8) A. Di Nicolò,” Cronache Fermane”, Firenze 1870.